Inizio a pedalare di buon ora, lasciando i Lupin e la mia nuova amica. I primi km nella terra delle nuvole bianche, così come la chiamano i Maori. Effettivamente di nuvole ce ne sono un bel po’ ma ciò non mi scoraggia e con una piacevole fatica raggiungo il Mount Cook, il monte più alto della Nuova Zelanda!
Da qui, prendo un percorso ciclabile lontano dalle auto e sterrato, l’alps2ocean, che mi porterà dalle montagne all’oceano costeggiando i laghi. Tutto è segnalato benissimo, tanto da non farmi consultare mappe e GPS. Vagare senza guida e senza pensieri dà una sensazione di onnipotenza e libertà. Lo stare da sola in mezzo alla natura ti fa riaffiorare pensieri che magari a casa non avresti mai fatto (in senso positivo, ovviamente!). Chissà, magari quando torno sarò diventata filosofa!
Lungo la strada ci sono dei cartelli che invitano gli automobilisti a condividere la strada con i ciclisti. Il mio primo pensiero quando vedo queste cose è la mia amata Napoli che ancora non è pronta ad accogliere gli amanti delle due ruote.
Le strade passano per paesaggi praticamente deserti, ci sono solo prati, pecore e…. cartelli stradali. Arrivo al Lake Pukaki (e su questo nome si potrebbero fare facili battute) e me ne innamoro perdutamente a prima vista. Resto stupefatta dall’ambiente estremamente selvaggio, mi provoca un turbinio di emozioni da far girare la testa.
Mount Cook si avvicina e mi mostra la sua maestosità come pure le località turistiche che offre a prezzi da capogiro, impossibile alloggiare, penso di piazzare la tenda ma per me fa troppo freddo! Entro in un ristorante e chiedo informazioni ad un cameriere che mi aiuta dandomi una coperta da portare in campeggio. Tra una chiacchiera e l’altra ed un purè (unica cosa economica da mangiare), resto all’ingresso dell’hotel fino all’una di notte, tormentata dal pensiero di piazzare la tenda con il freddo. L’ormai amico cameriere mi dice gentilmente che non posso stare lì a dormire ma con la mia rinomata faccia tosta gli dico che ho troppo freddo per dormire fuori in tenda (occhi dolci). Mi fa restare sul divano ma dice che tassativamente devo andar via alle 06.30 e mi offre anche un po’ di frutta secca. Etuate si chiama, da Haiti. Grazie amico mio, me ne ricorderò…
Un’altra cosa da raccontare ai nipoti: come quel giorno feci gli occhi dolci e riuscii a dormire nella hall di un albergo costoso…
Domani ci sarà sicuramente molto altro da raccontare!
Mary